Minghi: la musica italiana è malata, recuperare le radici
L'artista: "Anima Sbiadita disco realistico, non racconta bugie"
(di Angelo Cerulo) "Oggi la musica italiana non gode di buona salute. E' un po' malata, purtroppo. Bisognerebbe trovare degli anticorpi, degli antibiotici. Occorre recuperare le proprie radici, partire da quello, se si dimenticano le radici tutto il resto non serve". Amedeo Minghi, 77 anni, melodista, autore e interprete di tanti brani, coglie l'occasione di una serata di beneficenza a Napoli per 'Medici Senza Frontiere' promossa dal dottor Salvio Zungri, per dire la sua sullo stato di salute della musica italiana. A margine dell'evento nel Teatro Mediterraneo della Mostra d'Oltremare il cantante romano - in tour con il suo nuovo progetto - sottolinea all'ANSA che la musica italiana ha perso negli ultimi tempi le proprie caratteristiche che la rendevano unica nel mondo. "Non era una musica che imitava altre musiche ma veniva imitata - dice - eravamo tra quelli che producevamo cover internazionali, anche a me è capitato di vedere tanti brani cantati in molte lingue. La musica che propongono oggi i ragazzi non ha queste caratteristiche di internazionalità anche perché somiglia troppo a tutto quello che già c'è". Ci vorrebbero tratti distintivi nuovi riscoprendo le peculiarità? "Può avvenire ma in questo momento non c'è questa prospettiva" risponde Minghi secondo il quale, come detto, la strada maestra è quella di recuperare la radici. E tra la radici c'è anche la canzone napoletana: "Tutte le canzoni più belle del mondo sono napoletane. Anche i rocker più 'strani' scrivono melodie napoletane". Ma perché ha chiamato 'Anima Sbiadita' il suo ultimo lavoro discografico? "E' complicato spiegare - afferma sorridendo - Diciamo che il mondo è sbiadito, e sono sbiadito anche io. Per guardarlo da vicino bisogna 'sbiadirsi' ed essere trasparenti". "E' un disco un po' più realistico, più crudo del solito - mette in evidenza - molto sincero, schietto, reale che tiene conto del momento in cui viviamo che non è proprio edificante. Non possiamo raccontare bugie. E, dunque, quelli che come me raccontano la vita alla fine bisogna che raccontino anche le pagine che non sono bellissime. Questo non è un buon momento per l'umanità e purtroppo dobbiamo raccontarlo per cercare di risolvere il problema se possibile". La musica quanto può servire, dunque, contro le brutture e per raccontare la bellezza? "L'arte da sempre avrebbe questo ruolo di riappacificare, di accomunare, ma questo non è il momento adatto anche se ci sono grandi aggregazioni, apparentemente, nei concerti ma alla fine è tutto un po' superficiale. Stiamo attraversando un momento in cui la mediocrità predomina, quindi l'arte soffre molto di questa situazione e non ha il coraggio di superare l'impasse, mi auguro passi presto questa fase". Ma è soddisfatto di tutto quello che ha fatto nella sua lunga carriera? "Non sono mai contento altrimenti non continuerei a scrivere" conclude.
F.E.Ackermann--NZN